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BIX Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 maggio 1991
 
di Pupi Avati, con Bryant Weeks, Emile Levisetti, Mark Sovell (Italia, 1991)
"Pupi Avati, da buon appassionato di jazz com'è, avrebbe dovuto confermare gli ottimi rapporti che (finalmente) sembrano essersi instaurati fra due linguaggi per molti versi paralleli, come cinema e jazz. Dopo anni d'incompatibilità di carattere infatti, il vento è girato. C'è stato un bianco a filmare un nero (Bertrand Tavernier il sax di Dexter Gordon, in ROUND MIDNIGHT), un altro bianco a raccontare il più grande dei neri (Clint Eastwood nella biografia di Charlie Parker, BIRD . E finalmente anche i neri ai quali è stato permesso di filmare il jazz dei neri: MO' BETTER BLUES di Spike Lee, o STRAIGHT NO CHASER sulla vita di Thelonius Monk).

Con BIX di Avati si torna ad un bianco che filma un bianco, ma il problema non è questo. Bix Beiderbecke è stato uno dei pochi musicisti bianchi a non essere esclusivamente un grande solista, ma a contare effettivamente nell'evoluzione del jazz (un altro è stato, ad esempio, il pianista Bill Evans). Uno dei pochi dai quali i neri hanno imparato qualcosa.

Ora, cosa combina Avati? Parte nell'Illinois, filma con una troupe americana e, come è successo a tanti europei anche più solidi di lui, il suo cinema (intimo, affettuosamente attento ai personaggi) non sa più di niente. Sa di mestiere anonimo: quello del grande artigianato americano quando è lasciato solo a sé stesso. Dalla prima immagine (il giovane improvvisatore geniale e ribelle che non può adattarsi alla disciplina ed al conformismo della grossa orchestra di successo) all'ultima (droga, alcol, incomprensione) non manca a BIX una nota sola che non sia la solita manfrina. Non c'è un negro in circolazione, naturalmente. Quasi che il problema nemmeno si ponesse (a cominciare da quello che il trombettista viveva con una compagna di colore...). Ed Avati filma così bianco (slavato ed asettico, persino quando fa vomitare per non dire il resto il suo alcolizzato; senza l' ombra di quegli attributi che servono ai jazzisti non meno che ai tori)) da rendere proprio un bel servizio al grande Bix ed al jazz in toto: quello di cullare (certo, in buona fede) lo spettatore nel grande equivoco di sempre. Che il jazz è nero e poco di buono, che il bianco se tocca i fili della vertigine muore, che il cinema è tornato ai tempi di GLENN MILLER STORY."


   Il film in Internet (Google)

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